Il surrealismo di Salvador Dalì
di Ugo Cirilli
Pochi artisti riescono a rimanere impressi nella storia dell’arte tanto per le loro opere, quanto per il personaggio che hanno saputo incarnare.
Tra questi troviamo sicuramente Salvador Dalì (1904-1989), con la sua immagine iconica: i baffi curati con le punte rivolte in alto, l’eccentrica eleganza.
Un look che sembrava una diretta espressione dello stile dell’artista: spiazzante, senza eguali.
Dalì nacque in una famiglia benestante della Catalogna e manifestò presto una vocazione per l’arte, che lo portò a intraprendere studi nel settore.

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Nel 1919 tenne la sua prima esposizione. A incoraggiare l’attitudine creativa del ragazzo era soprattutto la madre, Felipa Doménech I Ferres; quando questa scomparve prematuramente a causa di un tumore, nel 1921, Salvador entrò in una fase di grande crisi, che influenzò il suo carattere inquieto.
All’Accademia di Belle Arti si fece presto notare per l’abbigliamento insolito (giacche e pantaloni alla zuava) e per i primi accenni di uno stile pittorico particolare, che evocava in parte il cubismo. Dalla stessa Accademia venne espulso nel 1923, con l’accusa di aver organizzato una protesta che aveva richiesto l’intervento della Polizia.

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Parigi e l’incontro con il surrealismo
Dalì non abbandonò la sua vocazione creativa: si recò a Parigi, conobbe Picasso, aderì al movimento surrealista.
Questa corrente artistica e letteraria si proponeva di esplorare le associazioni mentali più recondite della psiche, i pensieri nascosti, rappresentandoli con uno stile che abbandonava completamente ogni realismo.
Dalì si approcciò al Surrealismo con il metodo da lui chiamato “paranoico critico”, un tentativo di esplorare il proprio inconscio e trasporne le impressioni sulla tela.

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Così, nella sua pittura associazioni insolite di idee e immagini danno vita a composizioni surreali e stranianti, dal fascino inquietante.
Dai timori per il trascorrere del tempo nasce ad esempio una delle opere più famose, “La persistenza della memoria” del 1932, con gli orologi dalle forme stranamente “molli” che campeggiano in un paesaggio marino.
In “Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio” (1944) l’artista rielabora quanto raccontato dalla compagna Gala, disturbata dal ronzio di un’ape durante il sonno.

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L’immagine di una donna addormentata è accompagnata dalla surreale apparizione di due tigri che sbucano dalle fauci di un pesce, a sua volta emerso da una gigantesca melagrana.
Una baionetta vicina al corpo della donna evoca forse il timore della puntura dell’ape. Le figure sono sempre delineate nei minimi particolari, in un paradossale “realismo dell’irreale”.
Il Surrealismo era influenzato anche dalle teorie sull’inconscio di Sigmund Freud, ma le opere di Dalì non si prestano sempre a un’analisi simbolica: talvolta è proprio la libera, irrazionale associazione di elementi, fuori dagli schemi di significato, a ispirare l’artista.

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Il distacco
Dalì venne allontanato dagli altri surrealisti con l’accusa di non assumere una netta posizione politica, in un contesto artistico prevalentemente di sinistra.
Uno dei principali esponenti della corrente, André Breton, lo tacciò di materialismo e coniò un perfido anagramma del suo nome: Avida Dollars.
Ciò nonostante, Dalì continuò a ribadire la sua appartenenza al movimento: “Il surrealismo sono io”, arrivò a dichiarare.

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E gli eventi storico-politici, in realtà, influenzarono in alcune occasioni la sua arte: in “Morbida costruzione con fagioli bolliti: premonizione di guerra civile”, ad esempio, una surreale, mostruosa figura sembra lottare con se stessa; forse un simbolo di una nazione, la Spagna, che sei mesi dopo sarebbe precipitata davvero in un conflitto sanguinoso.
L’artista non espresse mai, però, una condanna del franchismo: un ulteriore motivo di allontanamento dalla comunità dei surrealisti.

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Non solo pittura: una creatività poliedrica
Al di là delle controversie politiche, ricordiamo ancora la grande creatività di Dalì, che si estese ad altri ambiti oltre alla pittura: collaborò infatti con Walt Disney, con gli stilisti Elsa Schiaparelli e Christian Dior disegnando avveniristici abiti, ebbe esperienze nel teatro, nel cinema, nel design.
Ricordiamo ad esempio il “telefono aragosta” commissionato dal mecenate Edward James, con la cornetta sagomata come il crostaceo, per Dalì un simbolo dalla connotazione sessuale.
E la sensualità domina anche un’altra sua creazione, il “divano labbra di Mae West”, omaggio alla celebre attrice.

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Creò inoltre una collezione di 39 gioielli, oggi esposti al Teatro-Museo Dalì di Figueres, in Catalogna.
“Senza un pubblico” disse “senza la presenza di spettatori, questi gioielli non compierebbero appieno la funzione per cui sono stati realizzati. Chi li guarda è, di conseguenza, il vero artista”.
Parole che trasmettono il desiderio di attenzione di un creativo fuori dagli schemi, non privo di zone d’ombra, ma capace di imprimere un segno indelebile nella storia dell’arte con le sue perturbanti visioni.