Perché è importante il giudizio degli altri?
a cura di Ugo Cirilli
A tutti noi può capitare di preoccuparsi per il giudizio altrui: cosa avranno pensato amici o conoscenti di qualcosa che abbiamo detto? O del modo in cui eravamo vestiti in una determinata occasione?
La società attuale esaspera probabilmente questa tendenza, con l’importanza attribuita all’immagine e l’iper-esposizione che può avvenire sui social media.
La marcata preoccupazione per i giudizi altrui viene talvolta etichettata come “debolezza”, ma è una caratteristica umana che ha ragioni profonde.
E, nella giusta misura, può rivelarsi utile e comprensibile.
Dagli inizi della nostra storia, siamo abituati a vivere in gruppo. Prima piccole tribù, poi comunità più grandi, villaggi… fino alle odierne città e a tutte le forme di attività collettive (scuola, associazioni, squadre sportive…).
I nostri antenati trassero un enorme vantaggio dalla collaborazione con i simili: esseri particolarmente vulnerabili nel regno animale, non avevano corazze, artigli affilati, una velocità particolare.
Oltre all’intelligenza, a salvare l’uomo dall’estinzione fu proprio l’idea di “fare gruppo”: insieme era più facile cercare cibo, cacciare o coltivare la terra, difendersi dai pericoli.
Così, con la vita sociale nacque l’attenzione alla considerazione degli altri. Divenne importante “fare bella figura”, essere ben inseriti nel proprio gruppo.
Una tendenza che ci portiamo dietro, quindi, dalla nostra storia evolutiva.
Anche il gossip, considerato un fenomeno frivolo, secondo alcuni ricercatori nasce con una funzione sociale precisa: scambiare informazioni sulle altre persone della propria comunità, per capire di chi fidarsi o meno.
Il gossip legato alle vicende dei “VIP” è solo una trasformazione giunta in tempi moderni! Del resto, spesso continua a riguardare amici, parenti, conoscenti, altri abitanti del proprio paese o quartiere…
Così, capiamo come nasca la nostra attenzione per i giudizi altrui. A questo punto, dobbiamo distinguere quando questa divenga eccessiva.
Un primo segnale da considerare è l’ansia, soprattutto nella sua forma detta “anticipatoria”: di fronte a una situazione nuova, ad esempio un colloquio di lavoro, tendiamo a preoccuparci in anticipo immaginando che qualcuno ci giudicherà negativamente?
Queste sensazioni sono così sgradevoli da spingerci a rinunciare a determinate occasioni? In tal caso ci stiamo creando da soli aspettative negative.
Chiediamoci poi se la nostra preoccupazione sia giustificata o meno. Pensiamo davvero di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato? O ci mettiamo in discussione per motivi banali?
Lo psicologo sociale Mark Snyder ha coniato il concetto di “automonitoraggio”, per indicare la tendenza ad adattare il proprio comportamento alle aspettative degli altri e alle diverse situazioni. Questa caratteristica può essere più o meno marcata da individuo a individuo e viene rilevata con un test elaborato dallo stesso autore.
Le persone che hanno un automonitoraggio molto elevato sono particolarmente attente al contesto, si dimostrano estroverse e socievoli. Possono apparire carismatiche e sanno adattarsi a varie situazioni sociali. Rischiano però di sviluppare un’autostima molto vulnerabile alle osservazioni altrui, dipendente dall’attenzione che ricevono.
Al contrario, gli individui con scarso automonitoraggio spesso sono meno abili nelle interazioni sociali, possono sperimentare situazioni di disagio nei rapporti con gli altri e scontrarsi con regole e convenzioni. La loro opinione di sé appare più svincolata dai giudizi del prossimo.
Possiamo dire che un buon equilibrio si colloca in mezzo tra queste due posizioni: un certo automonitoraggio aiuta a vivere una socialità serena, capire i diversi contesti, evitare comportamenti inopportuni. Allo stesso tempo, però, dobbiamo evitare di sviluppare un’esagerata ansietà, mettendoci in discussione senza motivo in ogni situazione e temendo ossessivamente giudizi negativi.