Maradona, storia di un mito
di Ugo Cirilli
Il suo soprannome esprimeva già la carica iconica di un mito del calcio: “El pibe de oro”, il ragazzo d’oro. Diego Armando Maradona, nato nel 1960 a Lanùs, in Argentina, era il quinto di otto figli. Si distinse giovanissimo per le sue doti sportive, tanto che a soli dieci anni entrò a far parte delle giovanili dell’Argentinos Juniors di Buenos Aires. Le sue capacità erano già evidenti e l’avrebbero portato lontano: nel 1976, quando si avviava a compiere 16 anni, debuttò come professionista nella stessa squadra. Erano gli inizi di una carriera straordinaria, che oltre all’Argentinos lo avrebbe visto giocare nel Boca Juniors, nel Barcellona, nel Napoli, nel Siviglia e nel Newell’s Old Boys.
Celebri sono le sue partecipazioni ai Mondiali con la Nazionale argentina, soprattutto quella di Messico ’86 in cui la squadra conquistò il titolo dei campioni del mondo.
Il Napoli ingaggiò il calciatore nel 1984 e lo presentò allo Stadio San Paolo: le foto dell’evento mostrano un ragazzo in t-shirt che appare quasi spaesato, di fronte alla folla oceanica e alla schiera di fotografi che lo attendono. Maradona era già legato all’Italia da una parte delle sue origini familiari: la madre aveva ascendenze italo-croate. Nella città partenopea attorno alla sua figura nacque una sorta di culto: il calciatore piacque per la simpatia che manifestava verso i ceti più popolari, i deboli e gli umili e, naturalmente, per i brillanti risultati delle sue performance sportive. Il Napoli con lui vinse il suo primo scudetto e la sua terza Coppa Italia.
Negli anni ’80 segnò anche uno dei suoi goal più storici, che conquistò il titolo di “Goal del secolo” in un sondaggio della FIFA: la celebre rete contro l’Inghilterra al Mondiale, quando Maradona si lasciò alle spalle cinque calciatori avversari, oltre al portiere. Poco prima si era verificato un altro episodio famoso della sua carriera: il controverso goal della “Mano de Dios”, la “Mano di Dio”, in cui il giocatore toccò la palla con la mano ma l’arbitro non notò il fallo.
Se quella rete scatenò un acceso dibattito, nessuno poté contestare la tecnica della successiva.
Maradona si imponeva sempre più nell’immaginario sportivo a livello internazionale: nel 1995 ottenne il Pallone d’oro alla carriera, nel 2012 venne proclamato Miglior calciatore del secolo ai Globe Soccer Awards e nel 2014 entrò a far parte della Hall of Fame del calcio italiano.
Purtroppo nella sua vita si affacciò già negli anni ‘80 l’ombra pesante della droga, che danneggiò la sua carriera e la sua salute. Dopo il ritiro dal calcio nel 1997, dovette affrontare le conseguenze fisiche della dipendenza, intraprendendo percorsi di disintossicazione. Il 25 novembre dello scorso anno il campione ci ha lasciati a soli 60 anni per un edema polmonare, poco tempo dopo aver subito una delicata operazione al cervello. Molto è stato scritto sulla sua drammatica fine, sulle precarie condizioni psicofisiche degli ultimi tempi, sui sedicenti figli che alla morte di Maradona hanno fatto ricorso a vie legali, chiedendo in alcuni casi anche il test del DNA.
Per tanti, tifosi e non, Maradona rimarrà però quel calciatore dalla tecnica straordinaria e quel “VIP” dal cuore semplice, che nel 2020 si tagliò lo stipendio da allenatore per aiutare la sua squadra, il Gimnasia La Plata, durante l’emergenza Covid. Ai personaggi pubblici che entrano nel cuore di tanti fan, infatti, accade spesso un destino particolare: alla loro scomparsa sparisce l’essere umano con le sue cadute, i suoi personali abissi, e rimane il mito. Il simbolo, l’icona che continua e continuerà a emozionare.