Il cane capisce il suo nome?
di Ugo Cirilli
Classici come Fido. Appellativi di eroi a quattro zampe del piccolo e grande schermo, come Lassie, Rex e Rintintin. Nomi “da umani”, che magari spingono ignari passanti omonimi a voltarsi. I modi di chiamare il proprio cane sono davvero tanti e fantasiosi.
Ma il cane capisce davvero che quella parola che ascolta spesso è il suo nome?
L’elaborazione del linguaggio
Alcuni dati scientifici inducono a pensare che il cane distingua le parole che gli rivolgiamo dagli altri suoni. È come se comprendesse che hanno una valenza comunicativa, sottoponendole a un’elaborazione particolare.
Negli esseri umani il linguaggio viene processato dall’emisfero sinistro del cervello. Le connessioni orecchio-cervello sono incrociate: l’orecchio destro invia segnali all’emisfero sinistro e viceversa.
I ricercatori Victoria Radcliffe e David Reby dell’Università del Sussex hanno condotto un esperimento con 250 cani.
Gli animali ascoltavano suoni provenienti da altoparlanti: le voci dei padroni che dicevano frasi tipo “vieni qui”, o altri stimoli.
Nel caso delle frasi familiari, i cani giravano la testa in modo da percepirle con l’orecchio destro (ed elaborarle con l’emisfero cerebrale sinistro): una caratteristica che fa pensare che anche nel loro caso una metà del cervello sia specializzata nella percezione della parola. Di fronte ad altri suoni, anche parole sbagliate o in una lingua a loro non familiare, gli animali orientavano la testa in modo da ascoltarle meglio con l’orecchio sinistro ed elaborarle con l’emisfero destro, che negli esseri umani processa fattori come il tono e le emozioni espresse dalla voce.
Questo non significa affatto che il cane capisca i significati dei termini del vocabolario umano. Piuttosto, associa alcune frasi e parole ai comandi e alle esortazioni del padrone, imparando a obbedire. Di fronte a espressioni che non ha mai sentito prima, sembra che tenti invece di focalizzarsi piuttosto sull’ aspetto emotivo del tono di voce: qual è lo stato d’animo di chi parla?
Queste considerazioni sono suffragate anche da uno studio del Max Panck Institut di Lipsia, in cui i ricercatori hanno insegnato al Border Collie Rico 200 parole associate a svariati oggetti. Una volta abituato, il cane riusciva a trovare l’oggetto indicato da ogni parola anche dopo un mese senza “allenamento”.
Una Border Collie è anche Chaser, addestrata dagli psicologi americani John Pilley e Alliston Reid a riconoscere parole per tre anni, con sessioni giornaliere di 4-5 ore. Chase ha superato il già eccellente Rico, arrivando ad associare 1.022 oggetti al rispettivo nome.
Anche in questi casi, quindi, si tratta di un’associazione tra determinati suoni e alcuni significati, indotta dall’abitudine e dall’allenamento.
Quindi possiamo dire che il cane capisce il suo nome o no?
Da quanto evidenziato dagli studi citati, possiamo finalmente darci una risposta.
Se, più che crearsi un “vocabolario mentale” come noi, il cane tende ad associare con l’abitudine le parole a determinate azioni o situazioni, probabilmente ciò varrà anche per il suo nome.
Solitamente, il padrone se ne serve come una forma di richiamo, pronunciata in maniera forte e chiara.
Il cane inizierà a prestare attenzione a quella parola per il modo in cui viene utilizzata: con tono deciso, magari assieme a specifiche gestualità. Potrà così associarla a una richiesta di attenzione da parte del suo padrone; così, lo si vedrà girarsi prontamente quando la ascolterà.
Questo non significa affatto che comprenda che quel suono è il suo nome.
Probabilmente, se potesse parlare non “darebbe la zampa” dicendo “Piacere, sono Fido”! Magari domanderebbe, invece, cosa significa quella parola che si sente rivolgere tutti i giorni.
Questo per una ragione semplice: il cane non ha il concetto di identità che abbiamo noi umani, un’identità che a volte si trasforma in un ego un po’ ingombrante!